Una delle risposte più frequenti che si ricevono quando si esprimono critiche al femminismo, specialmente se si è donne, è:
se puoi parlare oggi, è grazie al femminismo.
Secondo questa logica, ogni donna dovrebbe un’eterna gratitudine al movimento e, per rispetto, astenersi da ogni critica.
Non viene lasciato spazio per distinguere tra riconoscere il valore storico di certe conquiste e criticare le derive che il movimento ha preso nel tempo. La possibilità stessa di dissentire viene trattata come un privilegio elargito dal femminismo, non come un diritto naturale di ogni essere umano in una società libera. Così, chiunque osi mettere in discussione alcuni approcci femministi moderni si trova subito delegittimata, come se perdesse il diritto stesso di partecipare alla discussione.
Non femminista = contro la parità
Se osi criticare il femminismo, o anche solo scegli di non identificarti apertamente come femminista, vieni percepito come chi approva lo status quo o addirittura come un nemico della parità. In certi ambienti, non esiste possibilità di sfumatura: o sei con noi, o sei contro di noi. Comprendere la fonte di questo pensieri è in effetti semplice: se si assume che il femminismo sia sinonimo della parità tra i generi, allora è logico pensare che chi non si dice femminista sia per forza contrario alla parità. Non si può essere neutrali sui diritti umani, si dice giustamente. Questa visione binaria non lascia però spazio a chi, come me e tantissimi altri, continua a lottare per la parità di diritti e di opportunità ma ha deciso di non identificarsi più con il termine “femminista” — non per superficialità o ignoranza, ma per un dissenso critico e motivato sulle modalità, sulle narrazioni e sulle priorità che il movimento ha assunto nel tempo.
Sempre colpa degli altri
La cattiva reputazione che il termine “femminismo” ha acquisito negli ultimi anni viene spesso attribuita esclusivamente all’ostilità esterna: ai misogini, ai conservatori, agli “hater” di professione, agli uomini reazionari che non sopportano l’emancipazione femminile e vorrebbero che tutto tornasse come prima. È vero che molte critiche al femminismo provengono da ambienti ostili alla parità di genere, ma attribuire ogni critica alla malafede esterna è comodo e intellettualmente disonesto: parte del problema nasce anche dentro il movimento stesso: dalla tendenza ad assumere toni aggressivi, all’assenza di spazio per il dissenso ragionato, all’incapacità di accettare critiche sincere come opportunità di crescita.
Ancelle, pick-me e altre creature leggendarie
Quando ho provato, nel mio piccolo, a sollevare osservazioni o a esprimere dubbi in modo argomentato e rispettoso, sono stata regolarmente liquidata con etichette sprezzanti: “pick me girl”, “ancella del patriarcato”, “misogina interiorizzata”. Insulti travestiti da diagnosi sociali, che hanno come unico scopo quello di zittire l’interlocutore senza entrare nel merito delle sue argomentazioni. Credo che un movimento sano debba saper distinguere tra critiche distruttive e costruttive, tra attacchi mossi dall’odio e interrogativi mossi dall’amore per la verità.
Non si costruisce un movimento più forte isolandosi dalle critiche sincere: si costruisce una comunità chiusa, fragile, incapace di evolversi.
Esempi
Le donne che si “adattano” al ruolo di casalinghe, che crescono desiderando di essere “solo casalinghe”, corrono lo stesso pericolo delle milioni di persone che hanno camminato verso la morte nei campi di concentramento… hanno vissuto una morte lenta della mente e dello spirito.
C’è la tendenza a guardare le donne che hanno rifiutato il femminismo e a decidere che sono da compatire. Povere sciocche, non sanno cosa è meglio per loro. Hanno scelto la dipendenza e la sottomissione, hanno scelto una vita triste di prigionia e schiavitù. Quando si sveglieranno dal loro torpore? […] Parliamo per queste donne invece di ascoltarle. Deve essere il loro carattere: devono essere pigre, illuse, avide, stupide. Devono essere queste le loro ragioni: devono avere problemi con il padre, devono essere delle cacciatrici di dote, devono pensare che gli uomini siano superiori alle donne a causa di una sorta di indottrinamento religioso, devono farlo perché pensano che questo le renda più attraenti agli occhi degli uomini. Devono essere così: ignoranti, di classe sociale bassa, cristiane evangeliche, mamme viziate di periferia, stupide.
“Am I a bad feminist?” di Margaret Atwood: http://archive.today/z26iU
”What Saying ‘I’m Not A Feminist’ Really Means”: https://www.youtube.com/watch?v=ygsVEouHU68
“Why is Feminism so controversial?”, serie “Breaking Down Patriarchy” presentata da Amy McPhie Allebest: https://www.youtube.com/watch?v=69vI37SRg_U
“#WomenAgainstFeminism e femministe che tendono all’autoconservazione”: https://archive.ph/zJBoY
“#WomenAgainstFeminism: le donne che negli USA non hanno “bisogno del femminismo!”: https://archive.ph/mCc7W
“Chi sono le ‘pick-me girls’?”: https://archive.ph/Mwu8y





Letture e approfondimenti:
Helen Pluckrose e James Lindsay, Cynical Theories:
- Critica il postmodernismo nei movimenti sociali, evidenziando come l’assenza di spazio per la critica interna renda i movimenti dogmatici.
Christina Hoff Sommers, Who stole feminism?
- Distingue tra “femminismo egualitario”, che si concentra sulla parità dei diritti, e “femminismo di genere”, che secondo lei promuove una narrativa vittimistica. Sommers critica quest’ultimo per aver messo a tacere le voci dissenzienti e aver favorito un clima in cui le critiche vengono accolte con ostilità.