L’impressione è che il femminismo riesca a rimanere unito, nonostante tutte le correnti interne, solo perché si contrappone a un nemico comune: l’uomo.
Not all men, but always a man
Esiste l’idea che la responsabilità della violenza contro le donne ricada, in qualche misura, su tutti gli uomini. Non solo su chi commette atti violenti, ma anche su chi non fa abbastanza per fermarli, chi beneficia del sistema “patriarcale”, chi non prende posizione: ogni uomo diventa, direttamente o indirettamente, complice. Questa narrazione trova espressione in slogan come “Non tutti gli uomini, ma sempre un uomo”: ogni donna, prima o poi, sarà vittima di violenza maschile, e che gli uomini nel loro insieme rappresentano una categoria intrinsecamente pericolosa. Eppure, se applicassimo la stessa logica ad altri gruppi sociali (“Non tutti gli immigrati, ma sempre un immigrato”, “Non tutti i napoletani ma sempre un napoletano”, “Non tutti i musulmani, ma sempre un musulmano”…), verrebbe — giustamente — riconosciuta come una forma odiosa di discriminazione collettiva. Quando però il bersaglio sono gli uomini, questa generalizzazione viene spesso non solo accettata, ma celebrata.
Il paradosso della “complicità passiva”
Si sostiene inoltre che anche gli uomini che non hanno mai ucciso, violentato o molestato siano comunque complici se non si impegnano attivamente a prevenire questi crimini:
- redarguendo gli amici che fanno battute sessiste,
- denunciando colleghi o superiori molesti,
- intervenendo fisicamente contro conoscenti violenti.
In teoria, suonerebbe nobile. Ma nella pratica? Dire a un amico di smetterla con battute sessiste è alla portata di tutti, ma quanti uomini si trovano davvero ad assistere a crimini gravi? Quanti hanno prove concrete, la forza, o la possibilità di intervenire senza rischiare la propria sicurezza o finire nei guai legalmente?
Pretendere da ogni uomo vigilanza costante, capacità investigativa e coraggio eroico significa caricarlo di un dovere sproporzionato, che non viene imposto a nessun altro gruppo sociale. Le donne stesse, per esempio, assistono talvolta a violenze o abusi verso uomini senza poter (o voler) intervenire. Eppure non ho mai sentito nessuna accusa di “complicità di genere”.
Se ti difendi, sei colpevole
Un’ulteriore distorsione riguarda la reazione degli uomini che si difendono. Chi dichiara di essere estraneo a comportamenti violenti o sessisti, o esprime disagio nel sentirsi accomunato ai colpevoli, viene spesso visto con sospetto: la loro rabbia, la goffaggine o semplicemente il bisogno di chiarire “io non c’entro niente” vengono letti come prova implicita di colpevolezza.
È una logica no-win: se protesti, è perché ti senti chiamato in causa; se stai zitto, è perché il tuo silenzio ti rende complice.
L’effetto boomerang sulle relazioni
Questa retorica non solo è ingiusta a livello individuale, ma rischia di alimentare un clima di sfiducia e risentimento tra i sessi. Molti uomini, sentendosi sotto accusa per ciò che sono piuttosto che per ciò che fanno, si allontanano dal dialogo e si convincono che non ci sia modo di essere visti come “parte della soluzione”. E senza fiducia reciproca, la collaborazione reale per contrastare la violenza — quella vera — diventa quasi impossibile.
Colpa collettiva
Attribuire a un intero gruppo la responsabilità degli atti di una minoranza è un meccanismo ben noto nella storia: ha giustificato discriminazioni su base etnica, religiosa e politica. In tutti questi casi, si è rivelato un metodo efficace solo per alimentare conflitti e odio, non per risolvere problemi. Che oggi si riproponga lo stesso schema con gli uomini, presentandolo come progresso, dovrebbe far riflettere.
Esempi
Nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po’ come essere figli maschi di un boss mafioso. […] vivi lì e se hai occhi e orecchie da un certo punto in poi non potrai più dire: non sapevo con chi stavo vivendo. […] E’ innocenza? No, perché il sistema mafioso si regge da sempre sulla pacifica passività di migliaia di persone che di mestiere non fanno i mafiosi. La legittimazione della mafia è implicita nella mancanza di reazione ostile di chi accanto al mafioso vive e forse persino prospera. L’unica risposta onesta alla mafia è combattere la mafia, non lasciarla lavorare senza immischiarsi. Come nel maschilismo, si nasce già immischiati. Nessuno è innocente se crede di dover rispondere solo di sè.
Al tuo “not all men” (“non tutti gli uomini”) io risponderò con uno “yes, all men” (“sì, tutti gli uomini”). Sempre e a prescindere. E non si accettano obiezioni.
È forse una delle risposte più fastidiose di sempre, perché sposta il punto della discussione e mostra come del problema di cui si stava parlando non interessi a nessuno, e sia invece molto più importante difendere “gli uomini” da un’accusa di genere che nessuno ha mosso. […]
Perché alla decima, alla centesima, alla millesima storia di una donna che si ritrova vittima di un uomo, una riflessione sugli uomini in senso lato va fatta, non perché siano tutti colpevoli ma perché, dato che sono tutti uomini, hanno tutti la responsabilità di controllare i propri comportamenti.
“Tutti gli uomini pensano come pensa un femminicida”, Valeria Fonte: https://web.archive.org/web/20250114013212/https://www.vanityfair.it/article/valeria-fonte-incontro-femminicida
“La lettera di Elena Cecchettin: «I “mostri” non sono malati, sono figli sani del patriarcato»”: https://archive.ph/mH2DE
“Non tutti gli uomini ma sempre un uomo”, Ilaria Rossetti: https://archive.ph/UNWtS
“Perché gli uomini dovrebbero smettere di dire #NotAllMen. Subito. Punto.”, Carlotta Sisti: https://archive.ph/cPUJ1
“È vero, non tutti gli uomini. Ma il punto è un altro”, Irene Facheris: https://www.youtube.com/watch?v=-nlKSTMC_o8



Letture e approfondimenti
Camille Paglia, Free Women, Free Men
- Critica la tendenza del femminismo mainstream a demonizzare gli uomini, e contesta l’idea che le donne siano sempre e solo vittime e gli uomini sempre aggressori.
Christina Hoff Sommers, Who Stole Feminism?
- Sostiene che si è passati da un femminismo dell’uguaglianza a un femminismo dell’accusa, e denuncia la cultura della generalizzazione sugli uomini, incluso il clima di sospetto diffuso.