Questa serie di articoli è prima di tutto un esercizio di sincerità. Per anni mi sono definita orgogliosamente femminista, e continuo a condividere alcuni degli ideali alla base del movimento. Tuttavia, per il modo in cui ho visto questi ideali tradursi nella pratica quotidiana, oggi non riesco più a riconoscermi in quella parola. Proverò a raccontare il mio percorso all’interno del movimento con spirito critico, ma per quanto possibile rispettoso, senza pretese di verità assoluta: solo il desiderio di spiegare, con onestà, perché me ne sono allontanata.
Prima di iniziare, mi sembra giusto premettere alcune cose, anche a costo di sembrare un po’ paracula.
Non intendo negare che esistano motivi più che validi per definirsi femministi, né sostenere che chi si riconosce nel femminismo sbagli per principio.
Allo stesso modo, non voglio suggerire che gli atteggiamenti critici che descriverò più avanti siano esclusivi dell’ambiente femminista. Purtroppo, da quanto ho osservato, si riscontrano in molti movimenti di attivismo sociale contemporaneo, dall’antirazzismo alle battaglie per i diritti delle persone trans, e vengono espressi sia da “persone comuni” sia da figure del mondo accademico e scientifico.
Per come la vedo io, dunque, i problemi che ravviso nel femminismo sono sintomo di dinamiche più ampie che attraversano l’attivismo in generale.
Sono consapevole, inoltre, che molti dei motivi che mi hanno portato ad allontanarmi dal femminismo riguardano comportamenti di singole persone femministe, più che il movimento in sé — ammesso che una distinzione netta sia possibile, visto che ogni movimento esiste attraverso chi lo anima.
Non credo che il femminismo nel suo complesso sia un movimento “marcio”, né che chi vi aderisce sia in malafede, illogico o disonesto: nello specifico, ammiro coloro che rimangono nel movimento pur riconoscendone le criticità — che siano quelle che evidenzio anch’io o altre — e anzi esprimono il loro dissenso senza peli sulla lingua e fanno ciò che possono per migliorarlo dall’interno, perché servono coraggio e onestà per scontrarsi intellettualmente con i membri della propria cerchia, con intento costruttivo e non distruttivo (e l’ammirazione arriva anche dal fatto che io ci abbia provato ripetutamente, ma non ci sono riuscita).
Non penso nemmeno che quanto criticherò rappresenti tutto il femminismo, nonostante molte delle convinzioni problematiche che descriverò mi siano state espresse da molteplici persone femministe, provenienti da contesti diversi, nel corso degli anni. Ho anche il più possibile evitato di inserire posizioni che so essere condivise soltanto da una piccola o grande sotto-categoria del femminismo (ad esempio l’esclusione e la stigmatizzazione delle donne trans da parte di alcuni gruppi radicali): gran parte delle problematiche che evidenzierò mi sono state espresse da femministi provenienti da tutto lo spettro politico, dai più radicali ai più liberali. Insomma, un indizio che non si tratti di opinioni marginali, ma di idee condivise da una parte rilevante del movimento — non i weirdos, non le anomalie, ma gli individui “medi”.
Non sono state le singole istanze a farmi cambiare idea, ma la loro somma: una somma che, nel complesso, è entrata in conflitto con la mia idea di parità di genere.
Se tu che leggi ti riconosci in alcune idee e non in altre — o magari in nessuna — va benissimo: siamo tutti esseri umani fallibili, e interpretiamo i grandi ideali e le strategie per raggiungerli in infiniti modi diversi. Ma alla fine, è con le persone, non con gli ideali astratti, che ci si confronta ogni giorno. Ed è stato proprio quel confronto quotidiano a portarmi, a un certo punto, a prendere le distanze.
Quello che segue è quindi il risultato della mia esperienza personale dentro e fuori dal femminismo, e delle riflessioni che ne sono scaturite. Mi piacerebbe corredare ogni punto di esempi o riferimenti precisi, per mostrare che certe convinzioni sono state davvero espresse da persone femministe e non siano semplici interpretazioni o distorsioni soggettive. Purtroppo, molti di questi episodi sono avvenuti in modo frammentato nel tempo o in contesti privati, oppure pubblici ma oramai perse nei meandri di Internet: di conseguenza, li riporto nella forma più fedele possibile, pur consapevole che sono inevitabilmente filtrati dalla mia memoria e sensibilità. Ci tengo però a sottolineare che non mi sono inventata nulla, come spero possano indicare le varie citazioni di libri femministi (d’altronde, se non fanno testo loro, cosa lo fa?).
In futuro, prometto anche di scrivere dei motivi per cui mi sono riconosciuta — e forse potrei ancora riconoscermi — nel femminismo, così da mostrare che il mio non è un rifiuto pregiudiziale, ma il frutto di un allontanamento doloroso nato da delusione e riflessione.
Spero che tutto questo basti a chiarire che non provo odio né verso il femminismo, né verso chi si riconosce in esso. Semplicemente, in coscienza, oggi non posso farne parte.
Nota su articoli, citazioni e screenshot presi come esempi
La mia opinione sul femminismo si è formata nel tempo, a partire da un insieme molto ampio e variegato di esperienze, letture, osservazioni e discussioni. Gli esempi riportati — tratti da articoli, libri, commenti pubblici o screenshot — non intendono rappresentare in modo esaustivo il pensiero femminista, né ridurre la complessità del dibattito.
Sono stati scelti perché illustrano con chiarezza alcune dinamiche ricorrenti che ho osservato nel corso degli anni. In molti casi, mi affido alla memoria perché non ho conservato traccia di tutto il materiale che ho incontrato (spesso si trattava di conversazioni a voce, video o stories di Instagram non più disponibili, e simili). L’intento è quello di offrire riferimenti concreti, anche se non esaustivi, a sostegno delle riflessioni espresse.
Senza ulteriore indugio — e senza un ordine particolare — partiamo con i motivi. Io non sono femminista perché…
1. Il patriarcato viene trattato come una realtà indiscutibile
2. Criticare il femminismo ti rende automaticamente il “nemico”
3. I problemi degli uomini vengono negati o ridicolizzati
4. La narrazione della violenza è sbilanciata e ideologica
5. Si alimenta una visione paternalistica e limitante delle donne
6. Gli uomini sono costruiti come nemici universali
7. I dati e le statistiche vengono piegati a confermare la narrativa
8. Traumi e dolori personali diventano armi retoriche
9. “Alcuni sono più pari degli altri”: il problema dei doppi standard di genere