Il patriarcato, nel discorso femminista, viene spesso trattato come una verità indiscutibile, quasi fosse un assioma o un fenomeno dimostrato scientificamente. In realtà rimane una teoria sociologica complessa, un modello teorico mai univocamente verificato e dunque accettato: una possibile interpretazione della realtà, non un assunto autoevidente. Come ogni teoria, può e deve essere discussa, criticata, aggiornata alla luce dei fatti — non “venerata” come una certezza, magari solo perché ci sembra descriva la realtà in modo efficace, o perché non siamo in grado di pensare a ipotesi alternative.
Negazionismo patriarcale
Mettere in discussione il concetto di patriarcato, o anche solo sollevare dubbi sui suoi effetti concreti nella società contemporanea, viene spesso interpretato come una prova di connivenza con il sistema stesso. Se chiedi, ad esempio, in che misura certi svantaggi femminili siano ancora oggi realmente causati da un sistema patriarcale e non da altri fattori sociali, economici o culturali, non vieni visto come una persona che vuole capire: vieni percepito come parte del problema. Non c’è spazio per distinguere tra analisi critica e negazione della realtà: dubitare è, di per sé, considerato un atto di ostilità.
Origine e causa di ogni male
Il patriarcato viene presentato non solo come una struttura sociale di fondo, ma come la causa principale, se non l’unica, di tutte le difficoltà che le donne e le varie minoranze incontrano nella vita quotidiana. Problemi economici, relazionali, professionali, psicologici: tutto viene ricondotto a una matrice patriarcale onnipresente. Questa visione monocausale riduce la complessità della realtà, ignorando che i problemi individuali possono derivare da molteplici fattori — personali, economici, culturali — e che uomini e donne affrontano spesso difficoltà analoghe, seppure in forme diverse. Attribuire ogni sofferenza o ostacolo al patriarcato rischia di deresponsabilizzare le persone rispetto alla propria crescita personale, e al tempo stesso impedisce di analizzare le vere cause dei problemi in modo più accurato e utile. E se non si esplorano le cause reali, il rischio è di non arrivare mai a delle soluzioni reali.
Tutto è patriarcato (anche quello che non lo è)
Interessante anche notare come il patriarcato venga spesso considerato responsabile di tutto e del contrario di tutto.
Ci sono tanti femminicidi in Italia, dove la percezione comune è che siamo piuttosto indietro in quanto a parità di genere? Colpa del patriarcato.
Ci sono più femminicidi in un paese come la Svezia, che figura ai vertici delle classifiche internazionali di parità di genere? Colpa del patriarcato anche qui: gli uomini, frustrati dalla perdita di privilegi, si starebbero vendicando del miglioramento della condizione femminile — una “controffensiva patriarcale”.
Le donne hanno meno tutele degli uomini? Ovviamente, per via del patriarcato.
Le donne hanno più tutele? È perché il potere maschile le vuole mantenere dipendenti e succubi, costrette ad affidarsi a protezioni esterne: ancora una volta, patriarcato.
Dal punto di vista logico, però, questo approccio è problematico: se un’unica causa viene ritenuta responsabile di due effetti opposti e incompatibili — per esempio A e non-A — allora, di fatto, qualunque scenario possibile diventa automaticamente una “prova” della teoria. È un po’ come dire che il lancio di una moneta dimostra una certa ipotesi sia quando esce testa sia quando esce croce: in assenza di un criterio che permetta di distinguere quando l’ipotesi è vera e quando è falsa, il concetto perde potere esplicativo e si trasforma in un dogma non falsificabile.
La teoria del tutto
Infine, il patriarcato viene spesso evocato come una forza onnipresente e immanente, responsabile di qualsiasi male: dalla disparità salariale ai comportamenti molesti, dai problemi psicologici alle tragedie più gravi. In questa narrazione, anche gesti estremi e individuali come un l’omicidio di una donna da parte di un partner o un ex partner vengono spiegati non con le specificità del caso — dinamiche relazionali, contesto sociale, magari traumi o psicopatologie — ma come espressioni dirette di un sistema patriarcale. Il patriarcato diventa la causa, l’unica causa, dietro la maggior parte dei mali della società, purché affliggano prevalentemente le donne (almeno secondo la percezione condivisa, che non è detto sia quella reale). Emblematico è lo slogan sempre più ripetuto: “Il femminicida non è malato, è figlio sano del patriarcato.” Questa affermazione rischia di annullare ogni analisi concreta della complessità umana e sociale:
- Come se ogni uomo cresciuto in una cultura patriarcale fosse destinato alla violenza.
- Come se il femminicidio fosse un atto inevitabile, sistemico, non il prodotto tragico e aberrante di dinamiche specifiche.
Trasformare il patriarcato in una causa unica di ogni male che affligge le donne significa smettere di interrogarsi davvero sui fenomeni, di cercare soluzioni concrete e di restituire agli individui la loro capacità di agire e di scegliere. La complessità umana non si piega a spiegazioni semplicistiche: ridurre ogni tragedia a un unico colpevole significa rinunciare a capire davvero.
Esempi
[Il patriarcato è] la manifestazione e istituzionalizzazione del dominio maschile sulle donne e sui bambini nella famiglia e l’estensione del dominio maschile sulle donne nella società in generale. Ciò implica che gli uomini detengono il potere in tutte le istituzioni importanti della società e che le donne sono private dell’accesso a tale potere.
Patriarcato invece è una parola più complicata e ha una parte ancor più difficile da far digerire agli uomini: quel sentore di colpevolezza generale che la ammanta è stato creato proprio per non far capire a cosa si riferisce.
È interessante notare che molte donne non si riconoscono come vittime di discriminazione; non si potrebbe trovare prova migliore della totalità del loro condizionamento.
E se il patriarcato non lo vedi (o, ancor peggio, sei convinto/a che non esista più, che sia definitivamente tramontato) […] c’è una sola spiegazione: ci sei talmente dentro da non accorgerti che, in fondo in fondo, il patriarcato sei tu.
“Cos’è il patriarcato”: https://archive.ph/HzqQO
“Patriarchal Society According to Feminism”: https://archive.is/Lo5H9
“What is Patriarchy (And how does it hurt us all)?”: https://archive.is/64rC0 https://archive.is/YwIfL
“8 Marzo: Sì, il patriarcato esiste (ancora) nel nostro paese e noi lavoriamo per disarmarlo”: https://archive.is/96X5k
“La cultura patriarcale, in italia, è tutt’altro che sconfitta. E mai come oggi serve combatterla”, Giulia Di Bella: https://archive.ph/rMkM4
“How does Patriarchy affect us today?”, serie “Breaking Down Patriarchy” presentata da Amy McPhie Allebest: https://www.youtube.com/watch?v=4-QxjWeinAY


Letture e approfondimenti
Christina Hoff Sommers, The War Against Boys
- Critica l’uso ideologico di concetti come “patriarcato onnipresente” per spiegare ogni problema sociale.
Camille Paglia, Sexual Personae, Free Women, Free Men: Sex, Gender, Feminism
- Afferma che il patriarcato come spiegazione unica della sofferenza femminile è una narrativa “comoda” che ignora la biologia, la storia e la complessità umana.
Steven Pinker, The Blank Slate
- Analizza come certe ideologie sociali, incluso il femminismo radicale, tendano a costruire spiegazioni monocausali della realtà umana ignorando le basi psicologiche e biologiche.
bellissimo articolo, è difficile commentare, dato che hai detto praticamente tutto tu.
Aggiungerò qualche riflessione in generale.
a mio avviso, il grande problema del termine “patriarcato” sta in ciò che è sotteso. Come termine meramente descrittivo ha una sua, per quanto limitata, utilità’: effettivamente, ad occupare le posizioni di potere economico sociale, e non ci dimentichiamo, militare, sono principalmente uomini, questo è innegabile. Il problema è che si sottende che queste siano norme culturali, e soprattutto , che siano norme culturali verticalmente imposte, deliberatamente adottate per opprimere le donne, artificialmente imposte su una società neutra, e pura, ed infinitamente plasmabile. Che basterebbe neutralizzare queste norme ed arriva il lieto fine.
un altra breve riflessione che mi viene di fare ispirata da uno degli estratti è che “potere” e “dominio” non sono sinonimi. avere potere su qualcuno non implica dominarlo. dominare significa piegare qualcuno alla tua arbitraria volontà, mentre il potere non sempre è arbitrario. un medico, un poliziotto, un ricco hanno più potere di me indubbiamente, ma il loro potere non è arbitrario: un medico non può deliberatamente nuocermi, un poliziotto non può torturarmi, un ricco può usare il suo potere economico per ottenere da me una serie di cose, ma non tutto- non può comprare un mio rene, non può pagarmi per compiere un illecito od un regalo. a differenza del dominio, il potere si può usare in modo legittimo, oltre che illegittimo, non a caso esiste il concetto di abuso di potere. tutto questo per dire che, ammesso e non concesso che gli uomini nel loro complesso abbiano più potere delle donne, non implica automaticamente che le dominino.
Concludo con una generica riflessione: a tuo parere Giacomo, è esistito, ed esiste ancora, il patriarcato?
sì, è esistito ed in parte esiste ancora, ma non è quello che si intende generalmente. Secondo me non è mai stata una struttura volta a perpetrare il dominio di un genere sull altro, quanto piuttosto una serie di soluzioni pratiche ad una serie di problemi oggettivi. soluzioni spesso ingiuste e disfunzionali, ma nate dalla praticità. Per esempio, il marcato controllo sociale sulla sessualità femminile: facile leggerlo in una chiave di oppressione, ma è fondamentalmente il modo più efficente per controllare le nascite, in un mondo privo di contraccezione e conoscenze scientifiche. Supponiamo di avere 100 adolescenti di sesso femminile, e 100 di sesso maschile: se io controllo socialmente 90 su 100 dei soggetti femminili, potrò avere al massimo un 10 per cento di gravidanze indesiderate; nella situazione opposta, quei 10 adolescenti maschi potrebbero essere potenzialmente in grado di impregnare tutte le femmine a disposizione.
la monogamia rafforzata, ed il “mito” della verginità femminile: in un mondo preindustriale, tu non solo hai la necessità di mantenere sotto controllo la popolazione maschile, devi anche incanalarne la capacità produttiva in attività ad altissimo rischio di morte e menomazione, come le attività militari , l edilizia, le attività minerarie. Come si convince un amplissima popolazione a correre rischi simili? Offrendo loro una ragionevole probabilità di trasmettere il proprio sangue, di avere una discendenza.
ma per avere questo occorre la monogamia socialmente rinforzata (enforced monogamy), in modo che grosso modo, ad ogni uomo corrisponda una donna; e la verginità femminile garantisce, almeno in teoria, che uno dei figli porti il sangue del padre.
tutto questo discorso per dire che queste norme, che nascono da specifiche esigenze pratiche, al venire meno di queste esigenze pratiche, vengono rapidamente dismesse. Appena è stata introdotta la contraccezione, abbiamo avuto la Rivoluzione sessuale. quando la produzione si è spostata su terziario, ed il mondo si è sostanzialmente pacificato, ecco che la pressione per la monogamia è fortemente diminuita. L idea femminista di una struttura di potere finalizzata all oppressione di genere non mi convince: ci leggi invece la necessità pratica di mantenere sotto controllo una serie di fattori di potenziale caos, e che al cambio delle condizioni esterne evaporano con relativa rapidità.
Ancora complimenti per il tuo lavoro!
G.
Personalmente, nutro forti remore nell’utilizzare la parola “patriarcato” in una chiave moderna, all’interno dei Paesi occidentali. Esiste un’intera branca del femminismo che combatte la strumentalizzazione delle parole e promuove un linguaggio più inclusivo (ad esempio, insistendo su “Devi dire Avvocata, non Avvocato”). Tuttavia, quando si fa notare che tutti i neologismi coniati per descrivere comportamenti negativi e tossici sono declinati al maschile (“mansplaining”, “manspreading”, ecc.), questa regola sembra non valere più. Perché, invece di usare questi termini, non attribuiamo loro un nome più neutro rispetto al genere? Perché non rendiamo obsoleto il termine “patriarcato” e iniziamo invece a parlare di “sessismo”? A me andrebbe bene persino “maschilismo”, poiché lo si può attribuire a un campione ristretto di persone e non a un intero genere.
Quando parliamo di “privilegio”, in questo caso il privilegio maschile, stiamo mettendo in un’unica scatola tutte le persone appartenenti a quella categoria. Per coloro che non si riconoscono in quella scatola, il “privilegio” non è affatto percepito come tale. Ogni volta che si dice che un uomo “ha il privilegio di girare da solo di notte”, che ne è di quelli che hanno paura e corrono verso la macchina? Quando si menziona il “privilegio di prendere uno stipendio più alto”, cosa diciamo di quelli che vorrebbero invece occuparsi della casa e dei figli? E di fronte a un “tu sei forte, non ti fai niente”, che ne è di quelli che, se colpiti, si fanno male? Forse non sono uomini? Quando in una società esistono asimmetrie, siano esse dettate da necessità o da motivi culturali, queste generano un “privilegio” per le persone che si conformano a quel contesto, ma creano al contempo un problema per chi quell’etichetta non la vuole.
Quando affronto questi discorsi, soprattutto in ambito lavorativo, provo sempre a ribaltare il punto di vista. Riprendendo la tesi secondo cui “tutto è patriarcato”, uno degli esempi più lampanti che mi viene in mente è la maternità, spesso usata come “arma” da impugnare quando si parla di disparità di trattamento sul lavoro. Faccio notare, anche in maniera un po’ provocatoria, che questo è un problema maschile, non femminile. Come madre, avere un figlio conferisce certi privilegi; come padre, la società in cui viviamo mi impedisce di stare con mio figlio e di supportare la mia famiglia al di là del mero aiuto economico. Vengo privato di esperienze e di tempo prezioso da spendere con le persone che amo. Perché si dà per scontato che per me, in quanto uomo, essere pagato di più sia più importante che stare con la mia famiglia? Se non si vogliono queste differenze, allora si dovrebbe combattere affinché anche un uomo abbia gli stessi privilegi.
Come dice sempre WannaBeHuman (parafrasando): “Se in un uomo cerchi il cancro alle ovaie, non lo trovi”.