Uno dei principi cardine del femminismo è, almeno in teoria, la libertà di scelta per le donne. Nella pratica, capita spesso che questa libertà venga accettata solo fintanto che la donna compie scelte conformi a certi modelli considerati “emancipati” o “progressisti”.
Libera di scegliere — come dico io
Se una donna sceglie, ad esempio, di occuparsi prevalentemente della propria famiglia, di lavorare part-time, di vestirsi in modo tradizionale, di sposarsi presto, o di aderire a ruoli di genere più “classici”, rischia di venire giudicata, compatita o accusata di “aver interiorizzato il patriarcato”.
Allo stesso modo, se decide di non identificarsi con certe battaglie ideologiche considerate femministe, la sua scelta viene spesso svalutata come frutto di condizionamento o falsa coscienza. In altre parole: la libertà di scelta viene concessa solo a patto che si scelga “bene”.
Misoginia interiorizzata
Ciò naturalmente non significa che i condizionamenti o le “scelte non veramente scelte” non esistano: si potrebbe discutere per giorni su quanto il libero arbitrio sia effettivamente libero, sempre che esista. Ma l’impressione è che il punto di vista femminista dia sempre per scontato il contrario: nel dubbio, la scelta di costoro non è libera, perché nessuna donna potendo decidere liberamente sceglierebbe il ruolo di genere impostole dal patriarcato. Giusto?
Una madre che decide di dedicarsi ai figli rinunciando a una carriera, ad esempio, viene spesso interpretata non come una persona che compie una decisione consapevole ponderata, ma come qualcuno che “ha interiorizzato la misoginia”.
In questa prospettiva la donna non agisce: “crede” di scegliere, ma in realtà — si dice — è solo un inganno del patriarcato. E dunque spetta al femminismo, in un certo senso, assumersi l’onere di “salvarla da se stessa”.
Il paradosso della protezione
Questa logica, pur animata da buone intenzioni, finisce per riprodurre una visione paternalistica della donna, come se fosse incapace di compiere scelte autonome e avesse sempre bisogno di maggiore supporto, protezione, tutela rispetto all’uomo.
Ad esempio:
- da un lato il patriarcato classico diceva “tu sei fragile, ti proteggo limitando le tue possibilità, così che sia un uomo a decidere per te”.
- dall’altro oggi il femminismo paternalista dice: “sei fragile, ti proteggo svalutando le tue scelte, evitando che ti assuma responsabilità, trattandoti come perennemente esposta e indifesa (evidentemente lasciando quindi che il femminismo, ovvero altre donne, decidano per te)”.
In entrambi i casi, la donna non è riconosciuta come adulta pienamente autonoma, capace di rischiare, scegliere, sbagliare e accettare le conseguenze — esattamente come gli uomini.
Assumere che le donne abbiano bisogno “a prescindere” di più spazio, più attenzione, più protezione rischia paradossalmente di rafforzare quegli stessi stereotipi di fragilità e incapacità che il femminismo dice di voler abbattere.
Victim blaming
Anche il tema della responsabilità personale viene spesso trattato in modo contraddittorio: invitare alla prudenza — ad esempio nel muoversi sole di notte o nel frequentare certi ambienti — viene bollato come victim blaming, come se riconoscere l’esistenza di rischi significasse automaticamente attribuire colpa alle vittime. Se un cittadino vive in un quartiere malfamato, è normale che installi una porta blindata, un sistema di allarme, o che eviti di lasciare oggetti di valore in auto. Sono misure che non garantiscono sicurezza assoluta, ma sarebbe imprudente ignorarle. Quando si parla di violenza sessuale, invece, per qualche motivo il discorso cambia: non sta a te, donna potenzialmente vulnerabile, dover prendere precauzioni — e chi sostiene il contrario ti sta attribuendo parte della colpa. Bisognerebbe invece “insegnare agli uomini a non stuprare”: un obiettivo eticamente condivisibile, ma che presuppone la possibilità di eliminare la criminalità per decreto morale, come se bastasse convincere i delinquenti a smettere di delinquere. Riconoscere e discutere rischi reali non significa colpevolizzare le vittime, ma trattare le donne come adulte capaci, non come bambine da proteggere a prescindere. La vera libertà sta anche nel poter scegliere come muoversi nel mondo — con consapevolezza, forza e responsabilità — senza che la prudenza venga scambiata per sottomissione.
Esempi
Il “femminismo della scelta”, oscuro residuo del movimento originario, dice alle donne che le loro scelte, le scelte di tutti, le “scelte” incredibilmente limitate che hanno fatto, sono buone scelte.
“Adoro essere una casalinga e questo non mi rende meno femminista”, Chitra Ramaswamy: https://archive.ph/ku9nh
“Le casalinghe sono femministe? I litigi dietro al ‘femminismo della scelta’”, Eugenia Nicolosi: https://archive.ph/eY7fs
“Le casalinghe femministe. La casa è una scelta. Oppure no”, Alessandra Farkas: https://archive.ph/ocO4Y
“Tradwives: il ritorno delle mogli tradizionali”, Emanuela Musto: https://archive.ph/2rpD2
“Emma Watson sulla copertina di Vanity Fair: «Femminismo significa dare alle donne la possibilità di scegliere»”: https://archive.ph/UAIxF
“Non dovrei insegnare alle mie figlie l’autodifesa: ai ragazzi dovrebbe essere insegnato il consenso”: https://archive.ph/mtpwh



Letture e approfondimenti
Annina Vallarino, Il femminismo inutile
- Nel capitolo “La donna fragile” si osserva come, nonostante le innumerevoli conquiste ottenute, sia molto comune ritenere che “oggi è un pessimo momento per essere donne”, dato che per il femminismo le donne sono sempre state e sempre saranno oppresse. La conseguenza è spesso finire a combattere battaglie spesso superflue come quella sul linguaggio inclusivo, cadendo in un vittimismo perpetuo senza soluzione.
Costanza Miriano, Sposati e sii sottomessa. Pratica estrema per donne senza paura*
- L’autrice mette in evidenza, senza mezzi termini, come spesso il femminismo abbia illuso le donne che rigettando i ruoli di genere sarebbero state più felici, quando invece molte ne escono frustrate e disilluse. Rivendica così, con forza e dignità, il proprio ruolo di moglie e madre come scelta consapevole.
* Sono stata molto combattuta circa l’inserimento di questo libro in particolare, dal momento che sono probabilmente quanto di più lontano esista dal modello femminile che l’autrice ha in mente e a cui si rivolge. È un testo che reputo nel complesso assai diseducativo e che secondo me ha molti difetti — a partire dal tono ideologico e alle molte generalizzazioni — ma che reputo comunque un interessante punto di vista, per chi non si ferma al titolo e non si scandalizza per la propaganda cattolica di fondo.