No True Feminist non nasce in un momento preciso o da un singolo evento scatenante, bensì è il frutto di un percorso che si è sviluppato nel corso degli anni, un cammino che mi ha portato a riflettere sul tema della parità di genere.
Ho avuto modo di formarmi un’opinione sull’argomento attraverso la lettura di testi saggistici e il confronto con molteplici voci. Tuttavia, ciò che è emerso da questa riflessione sono, più che risposte definitive, una serie di nuove domande: l’intento di questo blog è cercare queste risposte, scavando ancora di più nella “tana del Bianconiglio” del femminismo e della parità di genere.
Allo stesso tempo, desidero lasciare traccia di questo percorso, scrivendone affinché, possibilmente, qualcun altro possa leggerlo, commentarlo e contribuire al dibattito.
Perché scrivere di femminismo nel 2025
Esistono aspetti del movimento femminista e delle posizioni ideologiche espresse da alcuni dei suoi membri che trovo difficili da accettare. Senza puntare il dito contro nessuno in particolare, mi riferisco a fenomeni come il vittimismo, la misandria, la mancanza di rigore scientifico, le battaglie superficiali e le proposte di soluzioni semplicistiche a problemi complessi.
Nonostante il femminismo sia diventato estremamente popolare negli ultimi anni, in gran parte grazie al suo messaggio universale di battaglia per la parità dei sessi, la crescente visibilità non implica automaticamente un apprezzamento uniforme: la popolarità e l’accessibilità del movimento non sono sinonimo di consenso totale.
Non è facile avere dati precisi, data la mancanza di una definizione univoca di femminismo o di chi sia esattamente un femminista, ma scavando un po’ tra sondaggi e analisi statistiche1 emerge una tendenza interessante: sembra che la preoccupazione crescente per la parità di genere non si traduca necessariamente in un’adesione al movimento femminista, e che il femminismo come movimento potrebbe non essere il termine o il modello più accettato dalle donne e dalle giovani generazioni. La polarizzazione, le divergenze generazionali e le resistenze legate all’etichetta “femminista” suggeriscono che il femminismo tradizionale, per quanto importante, potrebbe necessitare di una rinnovata riflessione per adattarsi meglio alle sensibilità odierne e diventare un movimento più inclusivo e meno divisivo.
Insomma, certamente le analisi suggeriscono che nel mondo occidentale una parte importante della popolazione si riconosca nei valori del femminismo. Tuttavia emergono anche numeri considerevoli per quanto riguarda le persone che non si identificano come femministi. Uomini comprensibilmente, ma anche parecchie donne.
Se il femminismo vuole essere visto, nel linguaggio comune, come la battaglia per la parità di genere — valore sostenuto dalla maggior parte delle persone — perché tanti, pur condividendo questi principi, esitano ad aderire al movimento?
Il senso delle critiche al femminismo
A mio parere non c’è un’unica risposta.
Per esempio, qualcuno potrebbe pensare che il femminismo sia una cosa seria, che non sia sufficiente indossare una maglietta rosa o regalare fiori alla propria fidanzata l’8 marzo per essere femministi — giustamente, aggiungerei io: un femminismo “pop” non serve a molto per ottenere cambiamenti e risultati concreti; serve mettersi in gioco, scendere in piazza, a volte lottare anche fisicamente; di sicuro non si può fare la rivoluzione stando seduti comodi sul divano a casa propria.
Nella mia esperienza, tuttavia, la posizione maggioritaria di chi non si definisce femminista è abbastanza diversa, ed è più che altro di critica verso il movimento e la sua ideologica, per i motivi più svariati.
Altre critiche provengono da attivisti per i diritti degli uomini (MRA), che pur non opponendosi in teoria alla parità, ritengono che il femminismo contemporaneo trascuri o minimizzi problemi che colpiscono soprattutto il genere maschile, come il tasso di suicidi, la disparità nelle sentenze giudiziarie, la custodia dei figli dopo un divorzio, o la maggiore esposizione a lavori pericolosi.
Esiste poi un’area progressista o di sinistra che condivide molti ideali di giustizia sociale, ma percepisce la narrazione di parte del femminismo come eccessiva, semplificata o poco rigorosa: qui rientrano coloro che vorrebbero affrontare la questione di genere in un quadro più ampio di disuguaglianze (economiche, sociali, razziali…), temendo che un approccio esclusivamente centrato sul genere rischi di trascurare altre intersezioni o di degenerare in polarizzazione “noi contro loro”.
Infine, ci sono critiche di taglio più pragmatico, spesso mosse da persone che pur sostenendo la parità, percepiscono alcune rivendicazioni femministe come disconnesse dalle priorità reali o come proposte difficili da tradurre in riforme concrete.
Tutte queste critiche, come si vede, spaziano da posizioni reazionarie fino a osservazioni di chi condivide in gran parte gli stessi obiettivi del femminismo, ma ne contesta alcuni metodi o priorità.
Nonostante la loro varietà, la reazione che ricevo più spesso da parte di chi si identifica come femminista segue uno schema abbastanza ricorrente — ed è da qui che nasce la riflessione successiva.
Come il femminismo risponde (o non risponde) alle critiche
Di fronte a queste critiche, la reazione del movimento non è uniforme (e sarebbe strano il contrario, data la pluralità di voci che lo compongono).
Le obiezioni che provengono da ambienti apertamente ostili — come i reazionari contrari all’emancipazione femminile o una parte degli MRA — vengono di norma ignorate o archiviate come espressioni di misoginia o di opposizione di principio alla parità di genere. In questi casi, il femminismo non tenta quasi mai un confronto: i mittenti sono considerati, a prescindere, “nemici” degli obiettivi stessi del movimento.
Diverso è l’atteggiamento nei confronti di chi, pur condividendo valori progressisti o di giustizia sociale, critica quelli che percepisce come eccessi o derive del femminismo contemporaneo. È soprattutto a queste voci “vicine ma dissenzienti” che si rivolge la risposta che ho sentito più spesso:
È naturale, quasi ovvio, che il femminismo stia antipatico; del resto c’è tanta gente che si oppone al raggiungimento della parità perché vuole conservare i propri privilegi. Se fosse un movimento che non dà fastidio a nessuno non servirebbe a niente.
Questa posizione ha una parte di verità: un movimento che lotta per cambiamenti sociali e politici è inevitabilmente scomodo. Chi promuove il progresso si scontra sempre con chi è restio al cambiamento; è un meccanismo umano, difficile da evitare.
Il problema nasce quando ci si rifugia dietro lo scudo del “ci criticano solo perché siamo scomodi” o quando si etichettano senza distinzione tutti i critici come “maschilisti” o “nemici del femminismo”. A volte — forse — le critiche non vengono da chi odia la parità, ma da persone con osservazioni legittime, che meriterebbero almeno di essere ascoltate.
Nemmeno il movimento più retto e virtuoso dovrebbe essere immune al confronto. Ci sono molti modi di portare avanti una battaglia, ciascuno con punti di forza e limiti. Basti pensare alla differenza di approccio tra Malcolm X, con le sue posizioni radicali e lo slogan “by any means necessary”, e Martin Luther King, che puntava sull’integrazione e la nonviolenza, ma perseguiva lo stesso obiettivo.
La mia impressione, maturata prima dall’interno come militante e poi dall’esterno come “donna delusa”, è che molte persone nel femminismo fatichino non solo ad accettare, ma persino ad ascoltare le critiche. Certo, alcune sono in malafede — provenienti da chi non sopporta i progressi delle donne o da donne che hanno interiorizzato la misoginia — ma liquidarle tutte come tali è una scorciatoia per non interrogarsi sui propri errori (che tutti, in quanto umani, commettiamo).
Ignorare il dissenso può essere una scelta legittima, ma non giova alla credibilità del movimento né alla sua immagine di forza inclusiva e universale. In ogni ambito, sono le critiche costruttive a permettere di crescere e migliorare.
Per questo il mio intento non è demolire il femminismo, ma contribuire al suo miglioramento, mettendo in luce ciò che considero problematico e affrontandolo in modo aperto e ragionato.
Come intendo portare avanti il blog
I contenuti pubblicati su No True Feminist saranno principalmente di due tipi:
- Analisi dei fenomeni sociali — Tratterò temi come patriarcato, cultura dello stupro e gender pay gap, cercando di ricostruirne le origini e di studiarne gli effetti, basandomi su dati storici e statistici. Partirò spesso da domande o affermazioni ricorrenti, adottando un approccio vicino a una systematic review della letteratura e delle informazioni disponibili, così da formulare una risposta o un’analisi evidence-based.
- Letture e commenti di testi — Esaminerò i lavori di autori femministi e non, mettendone in luce punti di forza ed eventuali criticità, filtrati attraverso ciò che avrò appreso dalle analisi del primo punto. Questi articoli saranno decisamente più soggettivi, in quanto trattano recensioni e interpretazioni personali.
L’obiettivo non è “salire in cattedra”, ma fare ricerca, analizzare fonti e dati, imparare io stessa e trarre conclusioni a partire da ciò che scopro.
Parto ovviamente dal mio bagaglio di conoscenze, esperienze e opinioni, ma voglio che ogni articolo sia un percorso di indagine rigorosa. Mi aspetto di cambiare idea più volte, anche radicalmente — come mi è già successo in passato.
Darò particolare attenzione alle fonti che mettono in discussione le mie convinzioni iniziali, per avere una visione davvero completa. Questo non per inseguire ogni nuova “moda” o trend, ma per far sì che le mie opinioni siano il risultato di un’analisi approfondita e consapevole. Il senso di questo approccio non è ovviamente quello di seguire ciecamente ogni nuova tendenza o scoperta scientifica, come una barca trasportata dalle onde senza controllo. Non voglio essere influenzata dalle “mode” del momento, ma piuttosto fare in modo che le mie opinioni siano sempre il risultato di un’indagine approfondita e ragionata.
Non mi considero super partes — e non pretendo di esserlo — ma mi impegno a fondare ogni opinione su argomenti e prove solide.
Quando riterrò opportuno citare una persona o un gruppo, lo farò sempre con l’intento di analizzare le idee espresse, non di attaccare chi le ha formulate. Non mi interessa screditare, deridere o delegittimare nessuno sul piano personale. Mi concentrerò piuttosto su ciò che viene detto senza scendere mai sul terreno della polemica sterile, della provocazione o dell’attacco ad hominem.
Trovo più che mai odiose certe dinamiche da social network, come il tifo da stadio per una fazione o per un’altra, il gridarsi contro l’un l’altro per guadagnare consensi o umiliare l’avversario, la trasformazione del confronto in spettacolo. Il mio obiettivo è contribuire a un dibattito più sano, che privilegi la riflessione rispetto allo scontro, e che critichi i contenuti senza trasformare le persone in bersagli.
Non porrò nemmeno l’accento sulla forma comunicativa dell’interlocutore (ad esempio evitando il tone policing, ossia il giudicare un’argomentazione in base al tono emotivo o alla modalità espressiva anziché al suo contenuto), in quanto la reputo secondaria alla sostanza.
Non mi aspetto, infine, di essere quasi mai “sul pezzo”, ovvero di commentare notizie o avvenimenti accaduti da poco: voglio essere libera di scegliere gli argomenti da trattare e non voglio essere trascinata dal flusso di notizie, ma piuttosto desidero prendermi tutto il tempo necessario per approfondire qualsiasi soggetto. Se è passato di moda, pazienza.
Conclusioni
No True Feminist non è solo uno spazio per le mie riflessioni personali, ma un invito aperto a chiunque voglia contribuire a una conversazione onesta, critica e costruttiva sul femminismo e le sue sfide. Ogni articolo è un punto di partenza per un dibattito che, spero, possa stimolare nuove idee, mettere in discussione le certezze consolidate e farci crescere tutti. Non esistono risposte facili a problemi complessi, ma è solo attraverso il confronto, l’ascolto e la ricerca che possiamo avvicinarci a soluzioni reali.
Invito quindi a leggere, a riflettere, e a partecipare alla discussione se lo si desidera. Perché solo attraverso il dialogo aperto e il rispetto delle diverse prospettive possiamo costruire un movimento più inclusivo, consapevole e, soprattutto, orientato al cambiamento.
- Sondaggio del Pew Research Center del 2020: il 61% delle donne statunitensi afferma che il termine “femminista” le descriva bene; il 64% degli americani considera il femminismo come un movimento “empowering”, ma anche polarizzante (45%) o superato (30%).
Sondaggio YouGov del 2018: il 38% delle donne americane si identifica come femminista, in aumento rispetto al 32% del 2016, mentre il 48% non si riconosce nel termine, spesso ritenendolo troppo estremo o non rappresentativo del vero femminismo.
Studio di Ipsos e del Global Institute for Women’s Leadership (KCL): la Generazione Z presenta la maggiore divisione di opinioni tra uomini e donne su temi legati al femminismo e all’uguaglianza di genere. Il 53% delle donne Gen Z si identifica come femminista, rispetto al 32% degli uomini. Inoltre, il 60% degli uomini Gen Z ritiene che si stia chiedendo troppo agli uomini per sostenere l’uguaglianza, contro il 38% delle donne. Queste differenze generazionali evidenziano una crescente polarizzazione di genere tra i più giovani. [↩]